Allo stato attuale delle conoscenze botaniche e selvicolturali, non è ancora stato chiarito se il pino domestico (Pinus pinea, cioè il comune pino dalla chioma "a ombrello", rintracciabile quasi in ogni località costiera toscana) è indigeno della nostra zona, o se sia stato introdotto sulla penisola nell'antichità da parte dell'uomo. Comunque, la Toscana pullula di pinete: al 1988 erano stimati, riporta G.Bernetti nel suo "Selvicoltura speciale", circa 7700 Ha, e comunque «l'esistenza di pinete litoranee era già documentata da catasti toscani del 1400», e «l'impianto di pinete costiere è stato attivo a partire dal ‘500, sempre contestuale al progredire delle bonifiche».
Ecco che, da quanto sopra scritto, si può capire come mai la Toscana si trovi, al giorno d'oggi, così fortemente caratterizzata dalla presenza di pinete sulla costa rispetto ad altre zone (ad esempio, le stime per il Lazio parlano di soli 2000-2500 Ha a pineta, e il dato per l'Italia in generale è stimato sui 20-30.000 Ha): essendo stata, la regione, fortemente caratterizzata da processi di bonifica almeno fino agli anni 30, ma anche successivamente, ecco che le pinete erano considerate tra i modi migliori di "fissare" il terreno dopo la bonifica.
Il problema è - come cita lo stesso Bernetti - che il pino, qualsiasi sia la sua zona di origine, comunque «ha fissato gran parte dei suoi caratteri in un clima diverso e affronta, oggi, il clima mediterraneo con adattamenti meno completi» rispetto ad altre specie dello stesso genere.
Il pino domestico, pur così diffuso, si trova quindi in un habitat sostanzialmente inadatto, in Toscana. A questo va aggiunto il fatto che la specie è particolarmente sensibile ai danni da aerosol marino, e infatti ogni pineta di Pinus pinea che si trova in buone condizioni di salute è situata in luoghi protetti dalle correnti salmastre, mentre quelle che si trovano esposte sono destinate a perire, anche per la citata inadeguatezza davanti al clima mediterraneo odierno e al fatto che, oltre che salmastro di per sé, l'aerosol marino è sempre più inquinato, e questo peggiora le cose.
La "protezione" dall'aerosol marino, per una pineta, può essere garantita in due modi: uno è la presenza di una fascia di protezione con altre specie più resistenti al salmastro (per esempio il pino marittimo, Pinus pinaster, o varie specie di latifoglie semi-arboree della macchia mediterranea), e l'altro è la presenza di dune, che sollevando il flusso della brezza marina lo sollevano e lo fanno ricadere, all'interno, al di là del soprassuolo a pineta. In assenza di questa fascia di protezione quindi, e considerando anche l'inadeguatezza territoriale citata per la specie, è da attendersi un progressivo, inesorabile decadimento del popolamento vegetale.
Ed è quello che, almeno secondo quanto riportato dal "Tirreno" di oggi, sta avvenendo alla pineta costiera di Follonica: nella località costiera, secondo quanto afferma il perito agrario ed esponente dei Verdi Edoardo Bertocci, «le dune sabbiose sono state asportate, e si sono costruite baracche e strade creando condizioni di disagio per i pini con danni irreversibili. A questi problemi di tipo ambientale va aggiunto che la maggior parte dei pini hanno raggiunto, se non oltrepassato, il secolo di vita», davanti a età massime che solitamente non superano i 130 anni.
E, a parte gli interventi che vengono giustamente suggeriti - ricostituzione della fertilità del suolo, ripiantumazione di una fascia di protezione, e in generale «riaffrontare e riprendere i lavori (di manutenzione) con modalità diverse da quelle del passato» - è significativo quanto infine viene raccomandato, e cioè la chiusura al pubblico delle parti di pineta in corso di rimboschimento.
Ecco quindi che, in conseguenza del fatto che alle pinete non è stata garantito un habitat artificiale adatto, i cittadini di Follonica (ma la questione investe molte località toscane) rischiano di ritrovarsi senza ampi pezzi della "loro" pineta finché, dopo decenni, gli esemplari piantati avranno attecchito e saranno cresciuti.
Come agire, quindi? Anzitutto, è ovvio che garantire la persistenza (o il ripristino) dei sistemi dunali costieri è soluzione praticabile in aree non urbane, e non è invece compatibile, nella maggior parte dei casi, in zone abitate anche per ovvie questioni legate alle esigenze del moderno turismo di massa e al suo indotto economico e occupazionale. Ciò non toglie che la ricostituzione di un sistema dunale sarebbe la soluzione più sicura per il problema-pinete.
In quei (molteplici) casi in cui la cosa non sia praticabile su ampia scala, invece, o in cui magari non si voglia risparmiare o ricostituire il sistema dunale/la fascia arborea di protezione, è necessario perlomeno evolvere la pianificazione urbanistica, viaria e delle attività turistiche verso una effettiva integrazione con quella del verde urbano e peri-urbano in modo tale da non trovarsi più davanti ad errori di questo genere. E' vero che solo negli ultimi anni si sono affacciate, nel dibattito sul verde urbano, soluzioni più integrate tra gli aspetti selvicolturali e quelli urbanistici, ma è anche vero che finora a questo proposito è stato fatto troppo poco, e per esempio il verde urbano è stato trattato più spesso come "manufatto" - al pari di una strada o di un ponte - che come "popolazione di organismi viventi, con le sue necessità ecologiche imprescindibili".
E invece la strada è un'altra: l'impianto di una pineta, o il proseguimento della sua persistenza in un qualsiasi luogo, deve necessariamente essere affrontato guardando anche alla pianificazione urbanistica. Dove c'è pineta, cioè, deve esserci anche una fascia di protezione arborea o dunale dalla parte del mare, mentre dove non si può (o non si vuole) mantenere la fascia arborea e/o dunale è più conveniente rinunciare alla pineta a pino domestico, e rivolgersi a specie più consone al luogo per quanto riguarda la dotazione di alberature urbane. Ma poiché, come è ovvio e risaputo, le pinete hanno una forte attrattività per residenti e turisti per motivi estetici, storici e soprattutto funzionali (gli aghi secchi e la cattiva qualità della lettiera di pino impediscono la formazione di un eccessivo sottobosco), allora riesce difficile pensare che le comunità risponderanno positivamente alla prospettiva di una scomparsa delle pinete. Ma è questo un evento che, in assenza di interventi più mirati e di evoluzioni del funzionamento della macchina amministrativa, è destinato a colpire progressivamente tutte le località costiere toscane, almeno quelle dove (e sono la stragrande maggioranza) il sistema dunale e/o la fascia arborea protettiva sono stati eliminati.
FONTE: http://www.greenreport.it/
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giovedì 3 settembre 2009
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