Tempo fa non ricordo quale storico locale mi disse che due comunità distinte, pur facenti parte di un unico territorio, le divide e distingue più un corso d’acqua che un catena di alte montagne. Non so se questo sia vero. Se consideriamo però la straordinaria ricchezza e abbondanza di acqua e la quantità di piccoli fiumi, rii, laghi che troviamo nella provincia di Lucca, ci rendiamo conto delle innumerevoli piccole e grandi comunità che tuttora conservano gelosamente specifiche caratteristiche e tradizioni al di là o al di quà di una determinata sponda. Dovremmo di conseguenza pensare al loro isolamento che teoricamente si sarebbe dovuto accentuare nel corso del tempo. Ciò invece non è avvenuto grazie all’ ingegno dell’uomo e delle comunità locali in grado di costruire nel tempo (ponti nel tempo) una incredibilie varietà di ponti e ponticelli in grado di unire luoghi a volte divisi da torrenti impetuosi che hanno scavato nel corso dei millenni veri e propri “orridi” o canyon. Quando invece i ponti non sono bastati, la placidità delle acque lo hanno permesso, o gli stessi ponti a volte sono crollati, ecco che sono nate particolari professionalità oggi quasi del tutto scomparse: i traghettatori. Veri e propri “caronte”, spesso assai popolari fra la gente, tanto da tramandare la propria memoria dopo millenni sino ai nostri giorni.
Questo è proprio il caso di uno dei passaggi più frequentati nei secoli sopra il fiume Serchio in prossimità dell’odierno ponte San Pietro. Da qui infatti ancora passa il tratto della antica via medioevale francigena. Prima dell’ edificazione del ponte era stato istituito un servizio di traghetto tramite una barca che doveva essere di notevoli dimensioni, se ancora oggi la località ha nome ” nave” e se, come si legge negli estimi lucchesi del trecento, il luogo viene detto “ad navem Eriprandi” forse dal nome di chi istituì il servizio (Conte Eriprando ?) o addirittura da chi lo svolgeva proprio a mò di Caronte.
A sei miglia sud est della città di Lucca, esisteva un tempo il lago più grande della Toscana: il lago di Sesto o Bientina, così chiamato dalla distanza che lo divideva dalla città più vicina. A proposito di confini, questo specchio d’acqua era diviso fra lo stato lucchese e quello fiorentino. Intorno al lago, prosciugato a fini agricoli all’inizio del XIX sec. , fioriva una economia intensa di traffici commerciali leciti ed anche di contrabbando, che si snodavano fra i falaschi e porti di attracco fra i quali quello di Altopascio. Molti sono i documenti d’archivio rigardo a sanzioni, anche durissime, inflitte ai contrabbandieri di queste parti per stroncare il commercio illegale di beni introvabili o di migliore qualità. Fra questi prodotti il più contrabbandato almeno del settecento era il vino di migliore qualità importato dal fiorentino nella repubblica autarchica di Lucca. Si svolgevano inoltre attività legate alla pesca ed alla caccia. A tal proposito abbiamo un documento assai colorito che testimonia le rivalità e gli scontri fra gli abitanti dei due stati limitrofi, che nascevano per l’accaparramento della selvaggina cacciata. Questa drammatica esperienza fu vissuta in prima persona sempre dal nostro simpatico ospite tedesco dei primi del 1700 Gheorg Critoph Martini: ” All’inizio dell’inverno ha luogo una divertente caccia sul lago di Bientina [...]. Poichè io di caccia me ne intendo più a tavola che sull’acqua, avevo preso com me sul barchetto un cacciatore di porcari ( i porcaresi sono abilissimi in questa attività) e un terzo che stava al remo. [...] Sul lago quella volta si trovavano circa 300 barchetti; e col tempo chiaro e calmo com’era lo spettacolo era bellissimo. [...] . Il mio cacciatore aveva sparato ad una folaga quando un altro cacciatore da un altro barchetto le sparò finendola. Quello della mia barca fece immediata opposizione dicendo che non avrebbe acconsentito che l’uccello venisse toccato perchè gli apparteneva.; l’altro ribatteva che non era stato colpito e si forzava la legge del lago. Una parola tira l’altra, finchè non si accapigliarono e si presero di mira con i fucili: volevano spararsi a vicenda, per quanto io protestassi che dell’uccello non me ne importava niente. Nel frattempo si avvicinò in soccorso un barchino con un amico e paesano del mio cacciatore che puntò senz’altro il fucile sull’ oppositore minacciandolo di portarlo alla ragione se non avesse inteso le nostre buone ragioni. Al che tra gli altri, tra i quali vi era un religioso del teritorio fiorentino, vennero a più miti consigli chiedendo che gli venisse almeno restituito il colpo. Ma neppure questo il mio cacciatore gli volle accordare e si prese l’uccello. [...]Il fratello del mio cacciatore per un (simile) grave atto di violenza [finito però tragicamente, ndr] era stato impiccato; il barcaiolo della riva opposta[riva fiorentina, ndr] non poteva venire sul territorio di Porcari perchè aveva ucciso il caporale del fattore Buonvisi, e dovette vogare fino alla riva fiorentina a poche miglia da li. ” Per inciso il racconto si conclude a Porcari con una pantagruelica mangiata di cacciagione annaffiata da buon vino. Che tempi e che temperamenti !
Ma tornando ai ponti lungo il fiume Serchio dobbiamo, ahimè, ricordare anche tempi infausti, dove l’uomo invece di unire costruendo ponti, li ha distrutti dividendo le popolazioni con il flagello della guerra. Buona parte di questi, nello scorcio d’estate del 1944, vennero fatti saltare dalle truppe tedesche in ritirata. Pochi furono i ponti che si salvarono inspiegabilmente dalla distruzione. Fra questi proprio il ponte San Pietro citato all’inizio, dove si svolse una piccola scaramuccia fra soldati alleati della divisione buffalo e una postazione di miragliatrice dei tedeschi. Questa scaramuccia è visibile on line in un raro filmato delle combat camera. L’altro fu il celeberrimo ponte detto “del diavolo” a Borgo a Mozzano.
La leggenda che vuole il famoso ponte medioevale risalente al tempo della Contessa Matilde di Canossa, costruito grazie all’abilità del diavolo, ma salvato dalla maledizione grazie alla furbizia degli abitanti del luogo, è nota a tutti o quasi. Pochi invece lo ricordano con il suo vero nome: Ponte della Maddalena. La dedicazione del ponte alla donna peccatrice e penitente, così come la tradizione popolare l’ha identificata sino ad oggi, non è l’unica in Italia. In Liguria ed in Campania si trovano altri due esempi, edificati tuttavia in tempi più recenti. Secondo gli storici esisteva Fra il XIV e XV secolo sulla riva sinistra del ponte un romitorio oppure un edicola a lei dedicata. Pochi sanno però che nel paese di Borgo a Mozzano, nella chiesa dedicata al santo pellegrino Jacopo, fra le numerose sculture rinascimentali di indicibile bellezza ed importanza (annunciazione in terracotta invetriata di Buglioni, lo strepitoso San bernardino di Matteo Civitali, San Antonio e Santo Pellegrino di artisti fiorentini) si trova una scultura della Maddalena penitente in terracotta invetriata attribuita ad Andrea della Robbia. Il volto invecchiato e sofferente, i capelli fluenti a ciocche che ricoprono interamente il corpo, le mani giunte in segno di preghiera e di perdono. Un opera di eccezionale bellezza che si accosta nell’iconografia al celebre esempio donatelliano in legno policromo conservato nel museo dell’opera del duomo di Firenze. Basterebbe una sosta per ammirare queste meraviglie, a giustificare una gita lungo la mediavalle del Serchio.
Giungendo proprio alla fine della mediavalle, a ridosso con il confine della Garfagnana, là dove la valle del serchio si allarga in un ampio catino di origine glaciale, troviamo un paese a mezza costa che deve il suo nome proprio alle attività di traghettamento o di costruzione di antichi natanti: Barga o barca. Forse per la lingua italiana qui il “Si” di dantesca memoria suona un pò meno. In compenso la lettera “G” nella bocca dei locali prende sonoramente il posto dell’altra consonante C ogni volta che appare appunto una parola come Barca=Barga, Ciccia= giggia, Fucile=fugile. Si spiega forse così l’origine del nome del paese Barga. La vocazione a divenire punto di riferimento per i pellegrini che sceglievano questa via lungo il fiume per raggiungere Lucca, è testimoniata dalla patronato del paese rivolto al santo traghettatore per antonomasia: San Cristoforo. Barga festeggia il proprio santo con grandi feste e processioni il 25 di luglio. Lo stesso giorno altri paesi invece celebrano la festa di san Giacomo o Jacopo pellegrino. Risulta chiaro quindi l’accostamento con questa tradizione legata al viaggio ed ai santi protettori dei viaggiatori. Ma San Cristoforo è, per la tradizione cristiana, anche il gigante che portò sulle sue spalle il Salvatore attraversando il fiume in piena. E’ con questa accezione di forte e grande protettore contro i pericoli che il paese considerò sempre il suo patrono. L’enorme statua policrome risalente all’ultimo quarto del XIII secolo che si trova nell’abside del duomo di Barga, veniva infatti utilizzata concretamente in varie circostanze ed occasioni. All’ inizio di maggio, ad esempio, le coppie di promessi sposi danzavano intorno alla statua per propiziarsi un matrimonio fecondo. In caso di guerre o di assedio invece, lo stesso gigante di legno veniva esposto in tutta la sua possenza sulle mura del paese, nonstante i tiri di freccia o balestra dei nemici per mostrare quale” gigante” proteggeva i barghigiani. Nei restauri avvenuti negli anni venti del ‘900, sono state addirittura rinvenute punte di frecce nelle spalle della statua ! Grande San Cristoforo, sempre utile in ogni circostanza, fuori e dentro l’acqua.
Anche a Lucca comunque abbiamo un San Cristoforo. Non mi riferisco in questo caso alla chiesa in via fillungo nei pressi di canto d’arco a lui intitolata; piuttosto ad un immagine del santo sconosciuta alla maggioranza, perchè difficile da poter vedere a causa della sua collocazione. Mi riferisco all’affresco tuttora in parte visibile, se pur in acttive condizioni, nella chiesa di San Frediano ma purtroppo…dietro l’organo. Lo si può vedere con difficoltà solo accedendo ad uno stretto passaggio aprendo la porticina che conduce al ballatoio dove si trova appunto l’organo. L’affresco, secondo gli studiosi rappresenta un San Cristoforo di circa dieci metri di altezza. Perchè si trova proprio nella chiesa di San Frediano ? Perchè è qui che in antico il furibondo fiume Serchio rompeva i propri argini ed inondava immancabilmente la città. Ahimè la storia si ripete, e la natura, mai doma, ogni tanto riprende il sopravvento sull’ingegno umano. Gennaio 2010. Il Serchio in piena rompe gli argini e la popolazione dell’ oltreserchio soffre devastazioni senza precedenti. I barcaioli però questa volta non c’erano, le case erano state costruite dove un tempo il fiume esondava senza apportare danni alle persone, ed i ponti questa volta hanno retto a stento. San Cristoforo, San Cristoforo, continua a proteggerci tu, ora ed anche in futuro dalla corta memoria degli uomini senza scrupoli di oggi, dalla loro ignoranza che poco sa di storia, nulla sa di fede, ma molto sa di speculazione ed interessi privati ! Un pò di preghiere e storia anche oggi, credo che non guastino mai, anche parlando di ponti, ponticini e abili traghettatori.
Gabriele Calabrese
http://www.turislucca.com
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