Il Consorzio Vino Chianti ha commissionato un'indagine demoscopica per capire qual è la percezione della zona e del prodotto. Ecco tutti i dati raccolti.
Gli italiani e il Chianti. E' questo il titolo dell'indagine demoscopica svolta da AstraRicerche per il Consorzio Vino Chianti. La ricerca è stata realizzata nel maggio 2011 tramite 2.094 interviste a un campione rappresentativo degli Italiani 18-64enni, pari a un universo di circa 44 milioni di persone: 1.294 interviste sono state effettuate on line e cioè fatte con il metodo CAWI (Computer Aided Web Interviewing) ai nostri connazionali che accedono a Internet, mentre le restanti 800 interviste sono state fatte via telefono con il metodo CATI (Computer Aided Telephone Interviewing).
La prima area esplorata è stata quella delle associazioni, dei significati spontaneamente attribuiti alla parola ‘Chianti’. Domina incontrastato il riferimento al vino, citato dal 95% del campione e qualificato liberamente come toscano, rosso, genuino, di buona od ottima qualità, prestigioso, tradizionalmente in fiasco, uno dei prodotti-chiave della tradizione eno-gastronomica italiana, piacevole da consumare e in particolare da bere in compagnia. Il 55% fa riferimento ad una vasta zona della Toscana, per lo più indicata come connotata da bellissime colline, di grande interesse turistico (per gli italiani e per gli stranieri), classicamente attrattiva. Il 3% cita la carne (in particolare la bistecca, la ‘fiorentina’, la Chianina, ecc.). Tutte le altre citazioni spontanee, incluse le rare errate, non raggiungono il 5%.
La conoscenza della localizzazione del Chianti è eccellente: l’82% degli intervistati fa riferimento alla Toscana, mentre un modesto 13% non sa collocare il Chianti in una regione italiana e il 5% non è neppure informato che il Chianti è geograficamente individuabile. È interessante notare che l’area dell’ignoranza parziale o totale, in media pari al 18%, scende al 5% tra i toscani ma raggiunge ben il 41% tra i 18-24enni.
Quanto al profilo d’immagine della zona del Chianti, esso appare eccezionalmente positivo. Infatti, le riserve o le critiche non raggiungono mai il 10% del campione: in particolare, la percepita decadenza è indicata dal 4 per mille, l’‘invasione’ da parte di troppa gente da meno del 5%, la sopravvalutazione dei suoi vini dal 5%, l’esorbitanza dei prezzi (legata alla sua stessa fama) è lamentata da meno del 9%. Prevalgono i giudizi positivi: quest’area è bellissima (80%), è zona di produzione di vini di grande qualità (74%) oltre che famosi nel mondo (67%), offre una grande tradizione culinaria ed enogastronomica (57%), è un patrimonio paesaggistico e culturale (52%), è molto amata dagli stranieri (51%), è una destinazione turistica importante (42%), è pure un simbolo dell’eccellenza italiana (sempre 42%), è abitata da persone cordiali e simpatiche oltre che accoglienti e ospitali (30%) così come da VIP italiani e stranieri (il 18% evoca il Chiantishire). È inutile dire che in Toscana pressoché tutti i giudizi risultano al di sopra della media (anche per una sorta di orgoglio locale), mentre i dati più elevati s’incontrano in genere al di sopra dei 40 anni, dal momento che i giovani adulti e specialmente i giovani 18-24enni risultano non solo più ignoranti ma anche più ‘lontani’ dal Chianti e suoi minori estimatori.
Quanto al rapporto personale con la zona del Chianti, solo il 4% afferma di non esserci mai stato e di non avere alcun interesse a farlo; vale il decuplo la percentuale di coloro che amerebbero andarci per la prima volta (40%); il 57% è stato in quest’area. In dettaglio, il 2% ci vive o ci viveva in passato, il 23% c’è stato numerose volte, il 15% solo una volta, infine il 18% solo di passaggio. Se in media il 43% degli intervistati non è mai stato sinora in Chianti in vita sua, tra i 25-34enni si arriva al 51% e tra i 18-24enni addirittura al 66%.
Le motivazioni di visita del Chianti sono state in larga misura connesse al turismo (82% di chi vi si è recato almeno una volta: in un caso su tre restandovi più di una settimana, in due casi su tre meno di una settimana, in un caso su tre anche o solo per visitarvi cantine e provare vini); il 19% è stato sin qui in Chianti per andare a trovare amici, il 13% per motivi di lavoro e – assai raramente – di studio, il 7% avendo legami familiari in zona.
Passiamo ora ai consumi di vino. L’11% del campione si definisce astemio e un altro 13% indica consumi infimi (basati sul bere un bicchiere di vino con frequenza men che mensile); il 19% risulta saltuario (poche volte al mese); il 24% può essere qualificato quale medio (bevendo vino 2-3 volte alla settimana); infine il 34% è indicabile quale forte consumatore di vino (ossia 4 o più volte alla settimana: in prevalenza quotidianamente).
Quanto alle personali preferenze circa i vini, quelli rossi sono indicati dal 38%, quelli bianchi dal 18%, quelli rosati dal 7%; il 20% privilegia i vini frizzanti versus il 13% che cita, all’opposto, quelli fermi; il 16% preferisce i vini robusti e corposi versus il 13% che cita invece quelli leggeri e morbidi; il 15% preferisce i vini fruttati e dolci e il 7% quelli secchi. Il 34% preferisce i vini italiani e il 31% quelli DOC o DOCG o IGT, col 18% che ama provare vini diversi di più aree geografiche e il 13% che preferisce di volta in volta quelli della zona in cui si trova, mentre solo il 6% si limita ai vini della propria zona d’origine. I veri intenditori, che conoscono i diversi vitigni e le principali marche, sono solo il 5%, mentre un ben maggiore 36% afferma di amare il vino e di conoscerne diversi tipi ma senza esserne un intenditore; il 28% ama bere vino ma senza intendersene granché; il 13% dice di consumare poco vino e di non intendersene affatto. È interessante notare che solo il 10% preferisce vini dal nome sicuro e affidabile indipendentemente dal prezzo, mentre il 9% privilegia vini convenienti o comunque non troppo cari.
La conoscenza del vino Chianti è più che buona: solo il 3% non lo ha mai sentito nominare; il 18% lo conosce ma solo di fama, senza averlo mai consumato; il 37% l’ha provato ma sostiene di non conoscerlo molto bene; il 41% (circa 18.2 milioni di adulti) ne è un ottimo conoscitore (qui con prevalenza dei maschi, degli ultra25enni, dei residenti in Toscana – ovviamente moltissimo – e al nord).
Quali tipi di vino sono associati al Chianti? I rossi (82%: solo il 16% evoca i bianchi e un ancor minore 7% i rosati); i DOC/DOCG (55%); i vini robusti e di buon corpo (33%: meno del 7% evoca quelli leggeri e morbidi e solo l’1% quelli con basso contenuto alcolico); i fermi (15% versus il 7% che indica anche i frizzanti).
La frequenza di consumo del Chianti è nulla o quasi per il 25% del campione; assai bassa (da una volta al mese sino a una al trimestre) per il 37%; media (ossia più volte al mese) per il 27%; alta (cioè più volte alla settimana e spesso quotidianamente) per il 12%. Sommando le ultime due risposte si ottiene un totale di 13.4 milioni di consumatori con frequenza significativa, con ovvio predominio della Toscana (qui si giunge addirittura al 69%).
I principali pregi spontaneamente attribuiti al Chianti sono cinque: il gusto/sapore (33%), la corposità/robustezza/struttura (26%), il profumo (14%), l’alta qualità garantita (12%), il bel colore rosso (10%). L’unico difetto è - ma solo per il 20% dei conoscitori di questo vino - il prezzo, talora troppo elevato.
Il profilo d’immagine del Chianti, inteso come vino e non come area, è buono, seppur con alcune ‘ombre’. I tratti principali sono la DOC (48%), l’ottima distribuzione e la conseguente facile reperibilità (48%), la domanda anche da parte dei turisti (48%), l’ottimo abbinamento con le carni rosse (47%) e – per la metà – con molti formaggi (24%), coi primi piatti (15%) e con gli antipasti (12%). Il Chianti è poi un vino adatto come regalo/omaggio (40%), con un bellissimo colore (39%), perfetto accompagnamento di molti cibi e piatti della tradizione italiana (39%), validissimo per occasioni speciali (36%), naturale e genuino (ossia non manipolato: 35%), con un ottimo rapporto qualità/prezzo (29%), adatto a un consumo quotidiano (26%), con carattere ma senza essere troppo forte e corposo (25%), morbido/rotondo e piacevole da bere (23%), robusto e corposo (18%). Va aggiunto che al 32% degli intervistati piace molto personalmente (si tratta di ben 10.6 milioni di adulti). Alcune aree critiche riguardano la carenza di marche note e qualificate (indicate solo dal 26%) e di talune marche davvero eccezionali (segnalate solo dal 20%): in generale il branding risulta modesto, come conferma anche la rara percezione di significativi investimenti in pubblicità, propria di meno dell’8%. Il secondo, rilevante punto di debolezza è legato al fatto che il Chianti non è reputato un vino trendy, di moda (solo il 12% ne è convinto). Il terzo attiene all’evidente ‘divorzio’ in atto con le giovani generazioni.
Al di là di questi limiti, sono grandi la forza, la notorietà e il prestigio del Chianti: basti dire che il 76% dei conoscitori lo ritiene un vino non solo famoso ma anche uno dei motivi di orgoglio del Made in Italy nel settore enologico; il 61% lo giudica uno dei migliori rossi italiani; il 57% ne esalta la grande tradizione; il 46% ne parla in relazione a un intatto e grande successo; il 28% segnala il fatto che la sua eccellente reputazione non è mai stata intaccata da scandali (diversamente da altri vini anche toscani e anche celebri); meno del 4% ne percepisce una qualche decadenza, una perdita di successo rispetto al passato.
D’altra parte, è assai buona l’immagine del consumatore tipico del Chianti, poco definito in termini di aree geografiche e di genere (per la sua sostanziale trasversalità); positivamente identificato con i 30-50enni più che con gli anziani e ovviamente i giovani; vedente l’assoluta prevalenza di chi ama trattarsi bene e sa apprezzare il vino (62%), di chi ama i prodotti del territorio, connessi a specifiche tradizioni locali (non necessariamente proprie: 48%), di chi privilegia cibi e bevande genuini e non manipolati (41%), degli intenditori e cioè degli amanti dei buoni vini (36%).
Le occasioni di consumo personale del Chianti vedono ai primi posti l’assunzione domestica ai pasti (53%) e – sempre ai pasti – al ristorante/trattoria/pizzeria (52%). Il 33% evoca le cene conviviali con tanta gente, il 31% quelle a casa di familiari/amici/conoscenti col Chianti offerto dagli ospitanti, mentre il 28% fa lo stesso riferimento ma parlando del Chianti portato in omaggio agli ospiti (28%). Minoranze più ristrette parlano del consumo presso enoteche o wine bar (23%), delle occasioni importanti (come feste, compleanni, anniversari, ecc.: 21%), con solo il 9% che riferisce del consumo domestico al di fuori dei pasti (nel pomeriggio, all’aperitivo, ecc.) oppure fuori casa presso bar e pub (7%).
I vini giudicati un’alternativa di consumo al Chianti sono numerosi: al primo posto troviamo il Brunello di Montalcino (49%), seguito dal Nero d’Avola (38%), dal Rosso di Montalcino (31%), dal Montepulciano d’Abruzzo (29%), dal Barolo (28%), dal Morellino di Scansano (26%), dal Sangiovese (25%), dal Nobile di Montepulciano (24%), dal Dolcetto d’Alba (23%), dalla Barbera d’Asti (22%), dal Primitivo (21%), con molti altri vini con percentuali minori di citazioni.
L’acquisto personale di Chianti è nullo per il 18%, saltuario per il 68%, frequente o regolare per il 14% (in quest’ultimo caso si tratta di 4.6 milioni di persone, non necessariamente consumatori in proprio, tenendo conto del buying da parte di varie responsabili degli acquisti che agiscono ‘su ordinazione’ da parte di un familiare bevitore).
I canali d’acquisto utilizzati dai buyers del Chianti vedono il prevalere della GDO (supermercato 53%, ipermercato 40%, superette 7%, discount 5%) sull’enoteca/wine bar (per l’acquisto - specie saltuario - 50% o per il consumo sul posto che si ferma al 12%), sui ristoranti/ecc. (per il consumo al tavolo: 21%), sui bar o pub (per la mescita: meno del 5%).
Quali sono i drivers nella scelta del Chianti? Al primo posto la presenza di un marchio di garanzia (51%), seguito dal prezzo (49%), dalla zona specifica di provenienza (44%), dalla marca (39%), dalle indicazioni dell’etichetta (35%), dall’annata (33%), dalla visibilità/riconoscibilità dell’etichetta (24%), dalla cantina (24%).
E il giusto prezzo per una bottiglia di Chianti? Solo il 14% non supera i 4 €; il 24% si colloca tra i 5 e i 6 €; il 38% tra i 7 e i 10 €; il 24% va dagli 11 € in su. Si tratta, ovviamente, di prezzi non in promozione: colpisce comunque il forte divario tra il prezzo medio effettivo di vendita del Chianti nella GDO e i prezzi che il consumatore si dice disposto a pagare, il che lascia intendere che il calo (e spesso il tracollo) dei prezzi registratosi specie negli ultimi anni, oltre a danneggiare gravemente i produttori e la loro redditività, non serve a soddisfare bisogni collettivi in materia.
Per finire, ecco qualche dato sul Consorzio del Chianti: per quel che attiene alla sua conoscenza, il 53% è informato della sua esistenza ma solo il 15% ha informazioni precise in merito (è vasta l’ignoranza circa la distinzione tra Chianti Classico e non). Le aspettative ad esso rivolte riguardano con forza (‘molto’) il controllo dell’intero ciclo produttivo a tutela della qualità del prodotto (70%); il controllo del rispetto dei requisiti della DOC (69%); la tutela del marchio Chianti in Italia e nel mondo (68%); la garanzia del rispetto degli standard minimi di qualità e integrità da parte di tutti produttori associati (66%). Su valori più bassi, che però diventano largamente maggioritari se ai rispondenti ‘molto’ si aggiungono quelli ‘abbastanza’, troviamo l’assistenza tecnica e il supporto informativo a tutti i produttori associati; la promozione del territorio e del vino tramite eventi nazionali e internazionali e – un po’ meno – tramite pubblicità ecc.; l’attività di rappresentanza dei produttori presso le istituzioni e i partner commerciali.
Una prima conclusione è questa: il Chianti si presenta tuttora come uno dei grandi vini italiani, ricco di tradizione, profondamente radicato in uno splendido territorio piuttosto noto e assai caro agli Italiani e agli stranieri; identificato col rosso di buon corpo (ma non troppo greve), con un gusto e un profumo e un colore eccellenti, esso è parte a tutti gli effetti dell’eccellenza del Made in Italy. Non riesce, però, a captare i giovani e – in parte – i giovani adulti; non gode della notorietà e del ‘traino’ di forti marche; non risulta adeguatamente comunicato e promosso; non è in alcun modo un prodotto trendy e di moda. Inoltre, viene svenduto in misura esorbitante, tra l’altro non rispondendo alle aspettative e alle richieste di gran parte della domanda. Merita, perciò, di essere sostenuto da adeguate strategie e politiche di parziale riposizionamento, di rivalorizzazione, di incremento del ruolo delle marche (in un contesto nel quale il Consorzio gioca un importante ruolo, solo in parte noto ma sostenuto da un vasto consenso circa le sue finalità istituzionali).
FONTE: REpubblica.it
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