domenica 20 dicembre 2009

Città italiane : classifica qualità della vita

Quale Italia emerge dalla classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita? Ogni anno ci appassioniamo ai cambi al vertice o a quelli in coda. Cerchiamo di capire che cosa si nasconde dietro successi e fallimenti. Tuttavia, la straordinaria messe di dati che ci viene offerta consente di interrogarci sulla fotografia complessiva del Paese e sulle tendenze di lungo periodo.
Dall'inchiesta escono risultati non incoraggianti. Con l'unica eccezione (un po' particolare) di Trieste, le aree metropolitane del Paese non si collocano ai primi posti nella classifica. Rispetto a cinque anni fa, Milano, Torino, Roma, Bologna, Firenze hanno perso terreno.
Che cosa si cela dietro questo fenomeno? La difficoltà di governare le conseguenze sociali e ambientali dello sviluppo economico. Da qui i deficit nelle infrastrutture di comunicazione, i problemi di mobilità e di inquinamento, e naturalmente una diffusione della criminalità, anche violenta, che fanno scendere l'indice complessivo della qualità della vita. Si dirà che questa non è una novità. In effetti è vero, quarant'anni fa proprio l'incapacità di conciliare il tumultuoso sviluppo industriale dei grandi centri metropolitani del Nord Ovest fu alla base di un ciclo di forte e prolungata conflittualità sociale che ha segnato pesantemente la storia successiva del Paese. Colpisce però, a distanza di tanti anni, la persistenza di questa sindrome che segnala la scarsa capacità di governare processi complessi e di qualificare i territori. Oggi più di prima contesti metropolitani poco governati sono un grave vincolo all'innovazione.
Ma c'è un'ulteriore preoccupazione. Nei decenni passati le difficoltà delle aree metropolitane sono state a lungo compensate dalla vitalità delle province distrettuali lungo due assi che si incrociavano: dalla Lombardia al Friuli, e dall'Emilia, alla Toscana e alle Marche. In queste zone, il tratto caratterizzante è stato a lungo costituito dalla combinazione di un forte dinamismo economico basato sui distretti con una migliore attrezzatura di infrastrutture e servizi e collettive e una forte coesione sociale. Negli anni passati, province come Bergamo, Reggio Emilia, Modena, Padova, Treviso, Verona, Vicenza, e altre dell'Italia centrale, si trovavano in posizioni più elevate. Oggi appaiono più in basso.
Che cosa può segnalarci questo declino? Certo le difficoltà delle economie dei distretti degli ultimi anni, ma il peggioramento complessivo degli standard di qualità della vita sembra anche in questo caso dovuto all'erosione delle condizioni sociali e ambientali favorevoli, ereditate dalla storia (non pieno coinvolgimento nell'industrializzazione fordista) e dall'incapacità di gestire efficacemente le conseguenze della forte e rapida industrializzazione distrettuale (comunicazioni e infrastrutture, inquinamento, deterioramento dell'originaria coesione sociale e diffusione della criminalità).
Quanto al Sud, la fotografia conferma un quadro desolante. Dopo anni di trasferimenti netti di risorse non si registrano miglioramenti in quelle dimensioni che dovrebbero migliorare il contesto ambientale per chi ci vive e per le attività produttive. Non ci sono segni di miglioramento nel Mezzogiorno.
Allora dove si sta meglio in Italia? Si potrebbe rispondere ai monti e al mare (del Centro Nord). Se si osservano i primi posti della classifica, a parte Trieste, troviamo alcuni casi significativi che possono aiutarci a formulare una risposta: Belluno, Sondrio, Trento, Bolzano, Aosta, ma anche Rimini e Ravenna, Grosseto, Livorno e Siena. Che cosa hanno in comune? Sono in genere aree periferiche rispetto alle grandi direttrici degli insediamenti industriali e dei servizi avanzati, lontani dalle principali aree metropolitane, con un'economia che combina attività manifatturiere con turismo e servizi per il tempo libero. Si intravedono due varianti: quella "alpina" che presenta più spesso una componente manifatturiera (Belluno, Trento, Bolzano) e quella "marittima" più legata a turismo e tempo libero (Rimini, Ravenna, Grosseto). In entrambi i casi, l'impatto dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione è stato modesto, e di conseguenza sono meno rilevanti i problemi di congestione e di inquinamento. D'altra parte, le dimensioni ridotte dei centri maggiori, la persistenza dell'assetto sociale tradizionale hanno finora limitato la diffusione della criminalità.
Insomma, la performance in termini di qualità della vita delle aree alpine e marittime, basate su piccole città della produzione e/o del consumo, conferma le difficoltà complessive del paese con cui occorre misurarsi. Un paese moderno e civile non può permettersi di tenere a lungo le aree dove si concentrano le attività avanzate in condizioni di bassa qualità sociale e ambientale. I settori di frontiera, più legati all'economia della conoscenza, non crescono adeguatamente in contesti a bassa qualità sociale e ambientale. E le condizioni di vita della maggior parte dei cittadini che in tali aree risiedono non migliorano se non cresce la capacità di governo dei territori. In questo senso la sfida dello sviluppo si identifica oggi sempre di più con quella delle città. Non possiamo permetterci di andare solo al mare e ai monti.
FOTNE: il sole 24 ore

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