giovedì 13 marzo 2014

Media online, la fidelizzazione non è "social"

La connessione ad internet? Una vera e propria necessità per consumatori che ormai non possono più fare a meno di consultare forum, siti e social network per reperire qualsiasi tipo di informazione: del resto, il mercato della telefonia fissa da anni mette a disposizione di una clientela sempre più vasta offerte di internet adsl vantaggiose che consentono di sapere cosa succede dall’altra parte del mondo mentre siamo sul divano di casa a sorseggiare un tè. Il bisogno di informarsi, di restare aggiornati su ogni novità è una necessità che i principali operatori del settore della telefonia non ignorano, anzi contribuiscono ad attivare, aggiungendo alle tradizionali offerte anche abbonamenti con chiavette internet incluse: mai termini fu più appropriato di questo, visto e considerato che grazie ad esse il bisogno di connessione può essere soddisfatto in modo conveniente anche se magari siamo in viaggio per lavoro con il nostro pc. Se pensiamo a quanto tempo ad esempio passiamo sui social network, quasi forse non riusciamo a credere ai dati emersi dalla ricerca Pew sui 26 principali siti d’informazione in lingua inglese, tra cui spiccano gli illustri nomi di New York Times, Cnn e Bbc. Se infatti una notizia ci incuriosisce e la troviamo su Facebook, clicchiamo sul link e arriviamo al sito principale soddisfacendo il nostro bisogno di informazione: ma siamo pur sempre lettori occasionali, ci fa notare il Pew Research Center. I social come Twitter e Facebook, dove si registra una massiccia presenza di testate, porterebbero sì nuovi lettori, ma non fedeli: come per molti altri settori, quindi, il segreto non starebbe tanto nel pressare il pubblico, ma nell’educarlo ad una “devozione” verso la marca (nel nostro caso, la testata). E come si può riuscire in questo intento? Secondo Amy Mitchell, responsabile degli studi relativi al mondo del giornalismo del Pew Research Center, vanno adottate altre soluzioni accanto a quelle spot rappresentate da motori di ricerca e da social network. Certo, perché non è affatto il caso di abbandonare questi preziosi canali di contatto con un pubblico che non si alimenta quotidianamente di news sulle testate ufficiali: “Facebook e i motori di ricerca sono essenziali per aumentare le visite ad articoli specifici”, che magari stuzzicano un interesse nel pubblico curioso. Tuttavia, come prosegue Amy Mitchell, “i nostri dati dicono che è difficile costruire un rapporto con questi utenti”, data probabilmente la loro abitudine a lasciarsi attrarre da contenuti diversi in tempi molto brevi. Il pubblico “casuale” è un tipo di consumatore capriccioso, che tuttavia ha bisogno di punti di riferimento solidi: la soluzione prospettata allora da Pew, allora riguarda lo sviluppo del brand. “Per i media che sperano di costruire un pubblico fedele e pagante, è necessario che gli utenti li considerino il primo sito da consultare” conclude la Mitchell. La ricerca ha messo in luce proprio la forza di un consumatore che si sente legato alla testata, una fetta di pubblico riconosciuta tra quelli che accedono direttamente al sito principale della testata, digitandone l’indirizzo e non cercandolo con i motori di ricerca. Ebbene, tale pubblico passa ben tre volte più tempo sul sito di quello che trascorrono i lettori occasionali che ci arrivano dai social e dai motori di ricerca. Insomma, secondo i dati Pew, chi non vuol restare a digiuno di informazioni accede al sito seguendo tre strade: l’accesso diretto dal browser, il motore di ricerca e il social network. Pochissimi - quindi forse si può riflettere sull’utilità di questo strumento di stimolazione del pubblico - via e-mail. Ancora troppo pochi, a quanto pare, coloro che si informano usando le app per accedere ai siti d’informazione, anche perché la metà delle testate prese in considerazione non ne ha programmata una. FONTE: http://www.corrierecomunicazioni.it

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